Con il nuovo secolo e con la fine del governo dei Medici, il fermento economico e culturale di Firenze segna una battuta d’arresto. Le attività delle botteghe dei battiloro che solo pochi anni prima registravano nei loro archivi “migliaia di libri voti d’oro” pronti a riempirsi di sottili lamine preziose, subiscono un sensibile ridimensionamento. Molte botteghe sono costrette a chiudere e le grandi famiglie fiorentine, come i Gondi, i Ricasoli e gli Strozzi (che avevano guadagnato moltissimo con i prodotti auroserici), orientano altrove i loro investimenti.
I Manetti, invece, non si scoraggiano e puntano tutto sulla qualità. Giovanni, Giuseppe e Giovan Domenico frequentano, insieme a pochi altri pittori-doratori e battiloro-doratori, la celebre Accademia del Disegno della città, allargando alla pittura l’offerta della bottega. La scelta di iscriversi all’Accademia, che Giorgio Vasari aveva reso un vero e proprio ordine professionale per artisti, suggerisce la volontà dei Manetti di distinguersi dalle altre botteghe, ancora legate esclusivamente alle antiche corporazioni delle arti e dei mestieri.
Nel dicembre del 1732, in riconoscimento della sua eccellenza professionale, Niccolo’ Manetti viene nominato Console dell’Accademia del Disegno, ereditando la prestigiosa carica che un tempo aveva ricoperto anche Michelangelo Buonarroti.
Intorno al 1760 la bottega si trasferisce nel cuore artigiano di Firenze, nel centralissimo quartiere di San Lorenzo. Gli uomini continuano l’attività di battiloro e decoratori, le donne si occupano della tessitura di broccati, seguendo un’antica tradizione fiorentina che già nel 1300 era rigidamente disciplinata dai regolamenti delle corporazioni che imponevano di avvolgere i fili di seta “cum auro optimo”, ovvero solo con l’oro più puro.